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Beta HCG E test di gravidanza
La rilevazione delle Beta HCG – Gonadotropina Corionica Umana, l’ormone della gravidanza, nel sangue o nelle urine indica una gravidanza in corso poichè questo ormone viene prodotto dalla placenta non appena l’ovulo viene fecondato, quindi, la sua rilevazione potrebbe essere eseguita addirittura prima della data orientativa in cui la donna aspetta le mestruazioni.
Le Beta HCG subito dopo la fecondazione cominciano a crescere e crescono fino circa alla nona, decima o tredicesima settimana, per poi ricominciare a diminuire.
Per il test di gravidanza è necessario un semplice prelievo di sangue oppure di urine (il campione di urina deve essere raccolto preferibilmente di primo mattino, ma non vi sono controindicazioni se viene raccolto in altri orari della giornata). In entrambi i casi non è necessario il digiuno. Il contenitore monouso viene fornito gratuitamente dal Laboratorio LABORTEST oppure può essere acquistato in farmacia.
Analisi delle Beta HCG nel sangue:
In una donna non in gravidanza i valori di Beta HCG nel sangue oscillano tra lo zero e i 5 mUI (milliUnità Internazionali) per millilitro di sangue. Se il valore delle Beta HCG è superiore a questo valore significa che siamo in presenza di una gravidanza. Inoltre, a seconda della quantità di Beta HCG presente nel sangue, è possibile anche stabilire in che settimana di gestazione si trova la donna. Le Beta HCG, infatti, aumentano nel sangue con l’aumento dell’attività placentare (solo verso la tredicesima settimana cominciano a diminuire) e, osservate dal medico in relazione con l’ecografia in gravidanza, danno indicazioni sul benessere del feto e della placenta.
Analisi delle Beta HCG nelle urine:
L’analisi delle urine può essere:
- Negativa se non è presente l’ormone Beta HCG nelle urine e, quindi, non è in atto una gravidanza.
- Positiva, se risulta la presenza di Beta HCG nelle urine e, quindi, è certo che la donna aspetta un bambino.

Test prenatale non invasivo per lo screening in gravidanza di anomalie cromosomiche fetali
Al giorno d’oggi la diagnosi prenatale prevede diverse opzioni: una diagnosi invasiva (amniocentesi e villocentesi) che ci può dare la certezza del cariotipo fetale ma è gravata da un rischio d’aborto, e una diagnosi non invasiva (duo test e DNA fetale) priva di rischi per il feto e per la mamma che stima un rischio di anomalia cromosomica.
Alcune patologie genetiche sono ereditarie, mentre altre, come la sindrome di Down, in genere non lo sono e possono presentarsi in qualunque gravidanza. Benché il rischio di sindrome di Down aumenti con l’età, la maggior parte dei bambini che ne sono affetti nasce da donne in età inferiore ai 35 anni. Ecco perché l’American College of Obstetricians and Gynecologists raccomanda di proporre a tutte le gestanti un test di diagnosi prenatale indipendentemente dalla loro età.
Cos’è quindi il DNA Fetale?
Durante la gravidanza, nel sangue materno circolano frammenti di DNA fetale.
Questo tipo di test ci permette di analizzare il DNA fetale nel sangue materno per verificare il rischio di sindrome di Down (trisomia 21) e di altre due patologie genetiche, la trisomia 18 (sindrome di Edwards) e la trisomia 13 (sindrome di Patau). Valuta anche i cromosomi sessuali X, Y e offre la possibilità di valutare le patologie legate a questi cromosomi, come la sindrome di Turner o di Klinefelter.
Il test non è diagnostico, ma indica però una percentuale di rischio. A tale proposito test clinici hanno dimostrato che è in grado di identificare il rischio nel 99 % dei casi di sindrome di Down, nel 97 e 92% dei casi rispettivamente di trisomia 18 e trisomia 13.
In cosa consiste il test?
Questo test prenatale necessita di un unico prelievo di sangue e può essere effettuato già a partire dalla 10° settimana di gravidanza. Si suggerisce di eseguire il test dall’11° settimana abbinandolo all’ecografia del I trimestre (tra la 10+6 e la 14 settimana).
In genere i risultati sono disponibili dopo 10-14 giorni dal prelievo. La maggior precisione e il basso tasso di falsi positivi rispetto ai test tradizionali riducono al minimo la necessità di effettuare altri esami a causa di un risultato positivo.
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